Renato Bruscaglia di Silvia Cuppini
Da catalogo mostra: La Scuola Del Libro di Urbino – Copenaghen – Istituto Italiano di Cultura (1986)

Frequenta l’Istituto per la Decorazione e Illustrazione del Libro, diplomandosi nel 1941. Soltanto chi resta fedele ad un luogo, radicato come un albero alla sua terra potrà esprimere, se avrà un occhio altrettanto attento a ciò che accade nel mondo, gli umori di una regione, il divenire delle stagioni, le ragioni della disperazione e della speranza.
Bruscaglia ha scelto Urbino e l’acquaforte e tutti i critici, che hanno interpretato il suo lavoro, sono concordi nel riferire ala componente del paesaggio la tematica più costante della sua arte. Incisore fedelissimo alla punta, alla lastra, all’acido e al torchio, creativo e ribelle ha stabilito con il suo maestro Castellani prima, con Morandi poi, un rapporto dialettico, fatto di accettazione e rifiuto. Frequentatore della poesia da Montale a Luzi a Volponi, riconosce in essa una delle fonti della sua ispirazione. I titoli stessi delle opere risentono dei brevi versi degli ermetici.
Alla fine della scuola attende la guerra. Un periodo difficile per incidere: mancano i mezzi per i materiali e la possibilità di stampare, tuttavia per Bruscaglia è un modo per scoprire luoghi nuovi, di cui coglie come a Cremona, “la terragnità della Padania, il suo umore, la sua devozione alla terra, la sua cultura”, o Milano, con i teatri, le galleria, i musei. È un momento di ripensamento o di rivoluzione di ciò che la Scuola ha insegnato, è la scoperta della vita nei suoi affetti, nelle sue sconfitte, nei suoi impegni. Ritemprato da questa esperienza, Bruscaglia, ritornato a Urbino, si dedica ad incidere, ad esprimere attraverso la lastra la ricchezza del suo mondo poetico, un po’ dolente, a volte misterioso, sovrastato da un profondo silenzio.
Accanto al paesaggio, negli anni fra il ’50 e il ’60, è la figura umana che interessa l’artista. Non soltanto le sue ragioni psicologiche, ma piuttosto il segno che l’esistenza traccia sui volti, sugli abiti, sugli atteggiamenti. L’interiorità è impenetrabile, è resa intangibile da un rispetto sacro del segreto di ciascuno, ed ecco un altro carattere dell’incisore: la discrezione che regola i rapporti umani, che guida la mano a tracciare i contorni, a non fare violenza alle coscienze. Come la figura, il paesaggio è intriso di aria e di luce. I segni rapprendono il vento, elemento costante insieme al silenzio da Infinito leopardiano, entro la trama, che dapprima, fitta e incrociata, si allenta per divenire groviglio di segni profondamente incisi, poi lame leggermente ondulate di solchi di terra o nuvole leggere. La fermezza della mano, la rapidità del segno, non indugiano mai alla descrizione di un luogo tanto da renderlo conoscibile, è un’atmosfera, che, nella sequenza delle incisioni, sorprende chi guarda e lo proietta al di fuori di sé, verso lo spazio della terra e del cielo.
Il Palazzo Ducale di Urbino, studiato con amore, anche per tracciare le assonometrie che accompagnano la monografia di Pasquale Rotondi, pubblicata presso l’Istituto, ha insegnato il valore tangibile della prospettiva proiettando in una metafisica entità la tridimensionalità dello spazio, che da naturale diventa espressione di una cultura. Dalle grandi finestre entrano fasci di luce, l’interno comunica con l’esterno in un dinamismo nuovo per l’architettura del Quattrocento; il Laurana, Francesco di Giorgio, Piero della Francesca, i creatori del rinascimento urbinate, imprimono una traccia profonda in chi ha frequentato per anni le aule della scuola che aveva sede all’interno del Palazzo. La grande tradizione dell’incisione da Seghers a Rembrandt a Canaletto, studiata a scuola e frequentata sempre con la volontà di approfondire la tecnica e l’invenzione, affinano il segno, lo conducono all’essenzialità, al massimo dell’espressione.
Scoprire, poi, che la mano può tracciare, con l’aiuto dell’acido, accanto a tratti incrociati in tutte le direzioni, fittissimi, il groviglio del gesto, che l’acquatinta può comporsi in vaste, rapide stesure, che la puntasecca può rendere vellutata l’incisione, consente il pieno dominio delle proprie emozioni; la stampa compiuta nasce dalla disciplina del mezzo, dalla libertà non disgiunta dalla consapevolezza.
Bruscaglia costruisce i suoi paesaggi, prendendo come punto di riferimento l’orizzonte, dal quale fa dipendere tutta la composizione; la linea può essere dilatata fino a divenire una fascia scura, fittamente lavorata come Orizzonte alto del ’62, per lasciare in primo piano comporsi segni che, oltre ad essere un gesto, contengono un suggerimento organico. Scrive a proposito delle stampe fra il ’62 e il ’63 Carnevali: “tutte stampe, insieme ad altre, che segnano come la trasfigurazione sognata di un luogo e, proprio in causa di quella atmosfera tonale che le sostiene, in cui la forma viene più suggerita che detta, e a volte si dilata, indicano piuttosto la delimitazione di un piano o di uno spazio (Lo Spineto), e le potremmo paragonare a liriche: severe liriche dal timbro sostenuto”.
La ricerca iniziata fra spazio geometrico e spazio organico continua fra allentamenti e ispessimenti del segno fino al ’68, dove l’uso dell’acquatinta caratterizza uno stato d’ansia dilatato, uno sgretolarsi della materia come in Riparo o Ruderi. Nel ’70 con La ripa ghiaiosa, Orizzonte d’acqua, Riva familiare, il segno si frantuma, si ripiega su se stesso con un fare nervoso, ossessivo: il bianco è continuamente provocato dal nero insistente, anche se trattato con morsure leggere.
Nel ’72 il tema della terra ritorna con istanze ecologiche e sociologiche: lo spossessarsi della natura in Progressione maligna, Oscuro giacimento, La città è vicina, Decomposizione. Il peso di un orizzonte, carico di neri presagi torna a incombere sulla composizione: lo sfondo è tormentato di segni fitti e incrociati, il bianco in primo piano fa affiorare la materia decomposta dall’acquatinta.
Fra il ‘73 e il ’75 il segno si smaglia, s’allarga per trapelare più luce, soprattutto nelle acqueforti dedicate al mare: Il promontorio dietro il mare, Ricordo di mare, Confina adriatico, Sopra il mare; bave leggere di vento, che segnano appena la lastra, si alternano ai fitti reticoli che annunciano le notti, dove i cieli pullulano uniformi di piccoli punti luminosi e la terra si muove nelle sue falde, nei suoi scoscendimenti.