Verso il segno di Umberto Palestini
Dal catalogo della mostra “Verso il segno – Incisioni per Renato Bruscaglia”, Accademia dei Belle Arti di Urbino (21/09/2009-31/10/2009)
Un reticolo creato da una fitta trama di segni si apre in alcune parti per distendersi in più ariose campiture, modulando i vari piani di un paesaggio collinare. Al centro i segni si dissolvono lasciando la lastra priva di interventi grafici per far risplendere, come un cuore luminoso, il biancore incontaminato della carta.
Ne La casa delle vacanze Renato Bruscaglia ci offre una prova mirabile della capacità di far dialogare i pieni e i vuoti dello spazio, grazie alla raffinata orchestrazione formale di un maestro della grafica del Novecento. È proprio l’assolata apparizione delle mura dell’abitazione che si staglia netta, attorniata dalle ombreggiature ottenute con una grafia tracciata da mano sensibile, a offrirci il dono dell’eloquenza della sottrazione: il significato, pieno di riverberi, del vuoto.
Da vero poeta del paesaggio marchigiano Renato Bruscaglia ha tradotto le infinite atmosfere, ammantate di silente raccoglimento, di un territorio diventato metafora di una topografia soggettiva. La mappatura minuziosa di un universo in grado di descrivere le infinite variazione dello spazio interiore, il luogo in cui ognuno di noi possa trovare dimora e rispecchiarsi.
A dieci anni dalla scomparsa e all’interno delle celebrazioni ufficiali promosse dalla città di Urbino, l’Accademia di Belle Arti è lieta di ricordare l’opera artistica e didattica di colui che è stato co-fondatore, docente e direttore della nostra istituzione con l’edizione di una cartella grafica e una mostra di opere degli attuali titolari delle cattedre di incisione, di artisti e amici legati profondamente a Renato Bruscaglia, che hanno fatto della pratica incisoria un’espressione non episodica. È l’omaggio sentito ad un autore centrale all’interno della tradizione che vede Urbino, da sempre, luogo fondamentale per la ricerca e la formazione legata alla grafica d’arte.
Ripensare alla rigorosa lezione creativa ed etica lasciata in eredità da un artista come Renato Bruscaglia significa ribadire, da parte dell’Accademia di Belle Arti, la volontà di arricchire questo patrimonio culturale e continuare a svolgere il significativo ruolo di centro di eccellenza per la formazione artistica di una linguaggio vitale e, per certi aspetti, ineguagliabile. Andare, ancora una volta, verso il segno.
Dell’incisione o delle potenzialità dei “materiali amorfi”. Per Renato Bruscaglia scrittore d’arte di Anna Cerboni Baiardi
Dal catalogo della mostra “Verso il segno – Incisioni per Renato Bruscaglia”, Accademia dei Belle Arti di Urbino (21/09/2009-31/10/2009)
Una città per incidere, una città per l’incisione. Questo Urbino è stata, questo dovrebbe continuare ad essere. Per non dimenticarlo, per non dimenticare una vocazione che ha radici lontane (ché si potrebbe risalire fino a Federico Barocci) dobbiamo ricordare il valore e il peso che nel panorama italiano del secolo scorso ha avuto la non mai troppo celebrata Scuola del Libro di Urbino, con i suoi maestri storici e i tanti allievi che ne hanno diffuso, interpretato e vivificato l’insegnamento. Da lì era passato anche Renato Bruscaglia, prima come allievo e poi come docente. Nel ricordo di quell’esperienza, di quel cenacolo, di quella capacità di infondere l’arte nelle cose della vita, egli contribuì in modo determinante alla costituzione ed organizzazione dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, che diresse per molti anni, e dove volle che prendesse sostanza e concretezza una sezione tutta dedicata all’incisione dove esercitò il proprio magistero.
In considerazione di un impegno pubblico così significativo, comprensivo anche della partecipazione all’istituzione e all’attività dei Corsi Estivi Internazionali di Incisione, presenti per circa un ventennio, risulta evidente come nella vita di Bruscaglia e nella sua ricerca artistica, l’insegnamento abbia rivestito un ruolo determinante. Quasi a conclusione di quella lunga avventura, nel 1988 (con una riedizione nel 1993) egli pubblicò un libro intitolato Incisione calcografica e stampa originale d’arte. Materiali, procedimenti, segni grafici. Dedicato agli studenti, agli artisti in erba, a quelli già formati e a quanti sono interessati a capire da quale procedimento prenda vita la stampa originale d’arte, ancora oggi quel suo prezioso intervento costituisce un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia accostarsi all’incisione “ad incavo”.
Come antecedente di questo importante e prezioso contributo si potrà risalire ad un breve manuale intitolato L’incisione su metallo, pubblicato nel 1904 (ristampa anastatica del 1987) da Francesco Vitalini (1865-1905), un peintre graveur marchigiano quasi dimenticato, ma molto amato da Bruscaglia (lui stesso me lo aveva fatto scoprire regalandomi il catalogo della mostra di Vitalini che conservo gelosamente!).
In questo stringato manualetto, per la maggior parte dedicata all’acquaforte, di cui Vitalini fece ampiamente uso, si affrontano, seppur velocemente, anche le altre tecniche indirette (vernice molle, lapis, acquatinta), e un capitolo è tutto dedicato ai processi nuovi (grana libera, a penna, olio di garofano, acquatinta al pennello, processo pittorico, cellulotipia, monotipia), a dimostrazione della vivacità, anche in quelle date, della sperimentazione incisoria, della continua ricerca di nuovi mezzi espressivi per una realtà artistica che ha sempre cercato di affrancarsi e di farsi spazio nel ben più clamoroso mondo delle arti chiamate maggiori.
Lo scritto di Vitalini è animato da un intento puramente tecnico, imbastito nello spirito dei ricettari medievali, ma ogni tanto, tra un’inedita ricetta della vernice antiacida (come quella sperimentata da Giovanni Angelini, un incisore nato a Roma nel 1804) e l’analisi degli strumenti necessari all’incisore, spiccano alcune riflessioni che possono risultare utili per comprendere le prerogative di questo genere artistico, o per renderci edotti sulla consapevolezza che governa da sempre le scelte dell’incisore. Per un buon risultato, sottolineava lo scrittore, sono necessari ingegno ed esperienza. Perfino l’acquaforte, più rapida e libera dell’incisione al bulino, richiede la sua saggezza e in realtà “non è più facile dal punto di vista dell’arte” rispetto alle tecniche dirette.
Certo la base dell’acquaforte è il disegno, e “questo processo si basa tutto su un disegno eseguito sulla lastra da una punta”, ma “un semplice disegno a penna o a lapis e morso su rame, e poi stampato, non costituirà mai un’acquaforte”.
Riguardo al mordente, Vitalini ci avverte che è opportuno sceglierlo con cura per ottenere i risultati desiderati: differenti esiti e singole poetiche necessitano di specifiche miscele. Ad esempio “gli acquafortisti pittori, che hanno lavori originali ed effetti da risolvere, e cercano con una certa nervosità di concludere, preferiscono l’acido nitrico perché esso ha un’azione rapida, che alle volte, negli ultimi scuri, viene resa maggiore aggiungendo dell’acido quasi puro”. Ecco allora la ricetta di cui si serviva Piranesi: 200g grammi di aceto forte, 100 grammi di solfato di rame, sale ammoniaco…
Una descrizione più sommaria è riservata, in questo trattato, al bulino, una tecnica sentita, a quelle date, come obsoleta e contraria ad ogni proposta innovativa, adatta ad interpretare le istanze ormai superate dell’accademismo e della riproduzione: i bulinisti hanno bisogno di “un disegno perfetto, perché essi nulla creando da sé, si mettono generalmente al servizio dell’idea di un altro artista”. Pochi i riferimenti ai grandi maestri che hanno contribuito allo sviluppo delle diverse tecniche, perloppiù lasciati all’intervento introduttivo di Vittorio Pica.
Il volume di Bruscaglia condivide con quel lontano manuale di Vitalini la fondamentale esigenza di tramandare e spiegare tecniche antiche e moderne dal vivo dell’esperienza artistica e dei laboratori di incisione. Ma naturalmente era destinato ad essere anche qualcosa d’altro, qualcosa di più: lo spazio dove far vibrare riflessioni e intendimenti, scelte, gusti e preferenze, e al tempo stesso precise prese di posizione. Da questa “ricognizione perfetta sulla professione, il mestiere, la disciplina”, sull’impegno anche morale dell’incisore, prende corpo il diniego di tutte quelle degenerazioni che hanno involgarito e falsato la stampa originale d’arte. Era necessario, lo sottolineava Bruscaglia, sollecitare il ritorno ad una “considerazione meno distratta e superficiale del fascino comunicativo che la materia grafica…continua ad esercitare”, ma anche il ritorno ad “un approccio più umile e consapevole verso un mestiere e le sue radici che hanno alimentato un’arte che “minore non è”. In sostanza l’incisione di Bruscaglia, lo ricordava Emiliani nel catalogo della mostra del 2000, si è posta in anni difficili come una solitaria lotta contro il degrado della bellezza e come opposizione ad ogni decadenza.
La materia è divisa, nel libro, con ordine, nelle due principali famiglie calcografiche dell’incisione diretta e indiretta. Il bulino guadagna per anzianità il suo posta in apertura, riconfermando le sue potenzialità non solo nella prospettiva storica, ma anche nella contemporaneità, per l’uso che ne hanno saputo fare Picasso o Bellmer. E poi la puntasecca e la maniera nera e a seguire l’acquaforte con tutte le sue varianti. Ogni tecnica è analiticamente descritta nei materiali, negli utensili, nei procedimenti, e soprattutto nei suoi precipui caratteri grafici.
A proposito del bulino, ad esempio, Bruscaglia esamina e individua ogni possibile segno: quelli “più o meno lunghi e fra loro accostati e intervallati con andamento parallelo, quelli orditi ad incrocio ortogonale o a losanga e, ancora, quelli modellanti perché predisposti a seguire il volume per meglio esaltare la forma; gli stessi minuscoli segmenti o punti collocati con regolarità all’interno delle losanghe bianche determinate dall’incrociarsi del tratteggio, o quelli esibiti per più sottili morbidezze di sfumato”. Da una lettura così attenta e necessaria si potrà comprendere la premeditazione di ogni mossa di bulino e riguardare con una luce nuova tutta la produzione storica di artisti lontani anche di secoli.
E poi finalmente, viva e calibrata come una delle sue lastre, e piena di poesia, ecco allora, lucida e sostanziosa la definizione delle potenzialità espressive dell’acquaforte, la tecnica che l’artista ha sempre privilegiato: “ dal punto isolato che attiva l’insorgenza primaria dello spazio e della luce, ai punti fra loro variamente accorpati a trascolorare luce più aria; dai tratti corti più o meno trasparenti o accostati in addensate corposità, a quelli che scattano, invece, come per essere sollecitati da una forza a convulsa intermittenza; dal segno lungo che si dispone in ordinata e distesa mobilità ad andamento parallelo, a quello, invece, che si somma per ben programmate sovrapposizioni ordite ad incrocio semplice o multiplo, ortogonale e/o diagonale; dai grovigli disordinati, nervosi, inestricabili come rovi che la seccaggine del sole e del gelo ha irrigidito e serrato, alle trame replicatamente intessute fin dentro le estensioni incavate perché si trasformino in sempre più cupi e palpitanti insenature d’ombra”.
Dalle parole prendono forma le immagini e davanti agli occhi sfilano le incisioni, le mie preferite: La cava (1960), Il mattino (1965), Nasce dal piano (1970), Inizio di giornata (1971), Orlo adriatico (1975), Verso la notte (1979), Dove incontrarsi (1986) e molte altre, come La casa delle vacanze (Fluviale) del 1957 che oggi viene ristampata in omaggio all’artista. I segni si combinano insieme in mille modi dando vita a forme ogni volta differenti e nuove, a paesaggi di luce, di colori e di suoni.
Nelle pagine e nei pensieri di questo libro si riflette inevitabilmente il lavoro di Bruscaglia incisore, e certo la riflessione tecnica ha trovato alimento nell’azione incisoria. Ma il confronto con il lavoro dell’artista non si conclude solo in questo senso poiché, a ben intendere Bruscaglia, tra i più interessanti incisori del secolo scorso, ci si accorge, cosa per nulla scontata, di quanto la riflessione tecnica abbia alimentato il modo di catturare l’immagine, la scelta dei segni con i quali restituire nel “materiale amorfo” di una lastra metallica la vitalità struggente e lirica di un paesaggio che da mimetico è andato trasformandosi sempre più in uno spazio mentale, metafisico, in un luogo dove tentare l’equilibrio tra ragione e sentimento, tra espérance et travail.
Il volume in esame è esemplare anche nel modo di raccontare la storia di ogni tecnica evocando gli artisti che hanno fatto progredire la ricerca con esiti altissimi. Il percorso di volta in volta tracciato è necessariamente rapido ma selezionato e soprattutto costruito grazie a una lettura consapevole che si muove da dentro le opere, da artista che indaga l’opera di un altro artista. E allora ci spiega il caso di Giulio Campagnola , un veneto del Cinquecento, che per restituire nell’incisione i valori atmosferici e tonali della pittura dei suoi luoghi e dei suoi giorni, ha introdotto con il bulino il punteggiato; ma anche il caso di Rembrandt che sovrappone tecniche differenti in una stessa lastra interrogandone ognuna per esiti precisi; e ancora quello del seicentesco Jacob Ruisdael e del suo tratto uncinato e breve per rendere quasi il fruscio delle fronde degli alberi.
L’ultimo capitolo è dedicato alla stampa e ai diversi passaggi da mettere in fila uno dietro l’altro, senza errore, in un rituale ogni volta uguale per risultati sempre diversi. Chiude il libro un Glossario complementare che spiega tutte le parole che si possono accostare alla stampa d’arte. Tra queste c’è anche il termine collezionista. Mi viene in mente allora che molto spesso si deve a lui, al collezionista pubblico o privato, la salvaguardia delle opere che sarebbero andate disperse.
È per questa ragione, per non disperdere, per raccogliere attorno alla città i suoi tesori, che penso a Urbino dentro una storia nuova, a Urbino con un museo diverso, un luogo solo per l’incisione dove riannodare il colloquio con gli artisti incisori, dove ritrovare l’intensità e tornare a ripensare a Bruscaglia e alla sua lezione irrinunciabile.